Opere d'arte trasferite dall'Abbazia

Apoteosi di San Pietro CelestinoNell’Abbazia è rimasta una pallida testimonianza della ricchezza decorativa dei secoli passati, come ben si evince  dall’atto notarile del 27 maggio 1894, redatto dal Notaio Giovanni Angelone, sulla base dell’inventario compilato da Antonio De Nino nel 1890. In esso si attesta la presenza nel monastero di una serie cospicua di beni storico-artistici, al tempo assegnati al Comune di Sulmona ed ora solo in minima parte visibili nelle chiese e nei musei cittadini.
Vanno segnalate le due tele seicentesche di buona mano raffiguranti il Battesimo di Cristo e il Noli me tangere, collocate nella chiesa di Santa Maria della Tomba, e i due confessionali conservati nella chiesa di San Francesco della Scarpa.

Nel gruppo dei beni artistici provenienti dall’Abbazia, esposti nel Museo Civico di Sulmona, particolare rilievo assumono gli stalli lignei datati 1598,  notevole testimonianza della vitalità che l’antica ebanisteria ebbe nel monastero. Essi si presentano con un impianto strutturale sobrio ed equilibrato, arricchito da preziosi intagli che riprendono motivi legati al repertorio decorativo cinquecentesco.

Anche alcuni dipinti su tela sono degni di particolare attenzione: il San Benedetto di Anthon Raphael Mengs datato 1758, l’Apoteosi di San Pietro Celestino di Giovanni Conca datato 1750 e la Santa Caterina e Santa Lucia attribuita a Giuseppe Simonelli. Mengs (Aussig, Boemia 1728 - Roma 1779) fu uno dei più importanti ed influenti pittori del suo tempo, la sua produzione in passato tenuta in scarsa considerazione per la sua apparente freddezza, è ora rivalutata e se ne riconosce l’importanza storica. Il linguaggio mengsiano si allontana dal pittoricismo settecentesco e dal gusto scenografico, privilegiando, soprattutto, una impostazione equilibrata che riduce i contrasti cromatici, alla ricerca di quell’equilibrio estetico ed etico che è peculiare della cultura neoclassica.
Anche nel dipinto di San Benedetto, commissionato al Mengs,allora trentenne, dal priore dei Celestini del convento romano di San Eusebio, dove l’artista aveva prestato la sua opera, il pittore esprime questo suo ideale di decoro e di classica compostezza. Secondo alcuni studiosi , tra cui  Fucinese, il dipinto rappresenta, insieme alla facciata borrominiana della chiesa dell’Abbazia, la presenza romana più importante del settecento in Abruzzo, segno di una svolta e dei nuovi rapporti che la regione stabilisce con Roma, dopo aver privilegiato per secoli Napoli.
Nella tela dell’Apoteosi di San Pietro Celestino le figure appaiono immerse in una atmosfera luminosa ed iridescente: l’opera si caratterizza per la preferenza accordata ad una gamma coloristica brillante e per le eleganti soluzioni formali: l’intento decorativo riesce a prevalere su quello narrativo, rivelando nell’artista buone qualità di raffinato illustratore di soggetti sacri.
L’attività di  Giovanni Conca (Gaeta 1690 ca. - Roma 1771) si svolse per gran parte a Roma, esclusivamente sulla scia del cugino Sebastiano, creduto suo fratello talmente erano stretti i legami di amicizia e di lavoro, che aiutava sia nelle opere di grande respiro sia nell’insegnamento. La critica ottocentesca ha sottolineato spesso le qualità pedagogistiche dell’artista che, se non aveva molta ispirazione, si dimostrava accorto nella composizione e attento nell’osservazione dal vero.
Il dipinto raffigurante Santa Caterina e Santa Lucia, armonico nelle tinte e ben disegnato ma di autore ignoto, potrebbe essere collocato nell'ambito della cultura artistica napoletana del Seicento e, più in specifico, nella vasta produzione di impronta giordanesca, con particolari tangenze verso i modi espressivi di un allievo e collaboratore stretto del Giordano, Giuseppe Simonelli (Napoli 1649 ca. - 1710), che ha lasciato in Sulmona due pregevoli tele nella attigua chiesa della SS.ma Annunziata: la Nascita della Vergine firmata e datata 1698 e la Presentazione al Tempio.